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Premio Penna d’oca 2017 a Donatella Gasperi, menzioni speciali per Germana Cabrelle e Marina Lucchin

Premio Penna d'Oca

PADOVA, 24 maggio 2018 – Donatella Gasperi, 60 anni, collaboratrice della “Difesa del Popolo” e freelance, è la vincitrice del premio Penna d’oca 2017 promosso dall’Associazione Stampa Padovana con il patrocinio dell’Ordine dei Giornalisti del Veneto. La giornalista è stata premiata nel corso di una cerimonia che si è svolta nella sala Rossini del Caffè Pedrocchi a Padova. Due menzioni speciali “Giornalismo d’inchiesta” sono state assegnate ai giornalisti Germana Cabrelle (Vanity Fair) e Marina Lucchin (il Gazzettino). Per la prima volta tre donne sono state insignite del premio.
Nella foto, da sinistra Marina Lucchin, Donatella Gasperi e Germana Cabrelle


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Cumulo: Cescutti replica al Presidente dell'Ungp Iselli

Il mio appello in favore dei giornalisti precari, le cui già deboli speranze di stabilizzazione verrebbero frustrate se nel prossimo Cda dell’Inpgi (elezioni in febbraio) prevalesse fra i dieci consiglieri pensionati lo slogan “Cumulo senza limiti fra pensione e redditi da lavoro!”, ha suscitato la reazione del collega Giuseppe Iselli, consigliere Inpgi e Presidente dell’Unione giornalisti pensionati. Il quale, oltre che con me, se l’è presa con Enzo Iacopino, Presidente del nostro Ordine nazionale, il quale nel corso di un’assemblea istituzionale aveva affermato con forza di condividere le mie preoccupazioni e il mio appello.
Analoghe espressioni di solidarietà e di condivisione mi sono state espresse da Roberto Natale e da Franco Siddi, Presidente e Segretario della nostra Fnsi. Ringrazio sinceramente i colleghi e mi auguro che tale sostegno, giunto da chi ha la massima responsabilità dei due più importanti Organismi della nostra categoria, possa convincere l’Unione dei giornalisti pensionati a considerare con maggior consapevolezza l’”argomento cumulo”.

Ma torniamo alla recente replica di Iselli, il quale afferma tra l’altro che io sosterrei (ma ciò è falso, basta rileggere il mio appello) lo slogan “Seppelliamo per sempre il cumulo!” E’ vero invece che io avevo eccepito dopo aver letto con preoccupazione sul bollettino dell’Ungp, a distanza di un mese l’uno dall’altro, due articoli di colleghi i quali criticavano le norme a suo tempo emanate dall’Inpgi, uno affermando addirittura, senza mezzi termini, che il limite annuo di reddito da lavoro (20.000 euro, oltre il quale la pensione viene decurtata) sarebbe incostituzionale, e dovrebbe essere quindi cancellato. E su tale intenzione mi sono permesso, questo sì, di dissentire, a causa dei pesanti effetti che tale iniziativa avrebbe sul lavoro precario.

Sull’argomento relativo alla legittimità o meno del limite posto dall’Inpgi già si sono espresse alcune sentenze di primo grado (Tribunale) e secondo grado (Corte d’appello) emesse in relazione a cause avviate da giornalisti pensionati contro il nostro Istituto. Tali colleghi sostenevano che la norma sul limite al cumulo (la cui prima emanazione risale al 19 maggio 2004) sarebbe in contrasto con la legge n. 289/02, la quale ammette invece nell’A.G.O. (Assistenza generale obbligatoria) la piena cumulabilità fra reddito di lavoro - dipendente o autonomo - e la pensione.

Fino ad oggi tuttavia i ricorsi giunti a sentenza sono stati tutti rigettati dai giudici con motivazioni che di seguito riassumo: Il decreto legislativo 509/94 che ha sancito la privatizzazione dell’Inpgi obbliga contemporaneamente l’Enei a non ricevere alcun aiuto economico dallo Stato e a garantire quindi l’equilibrio dei suoi bilanci, attuali e futuri, attraverso la presentazione di rigorose verifiche attuariali. In questo compito di continua sorveglianza della situazione economica, l’Istituto deve legittimamente adottare anche misure (vedi la norma sul cumulo) che servano a tenere sotto controllo la propensione ad un anticipato pensionament,o incentivato da una contemporanea collaborazione professionale. Sulla base di queste considerazioni, tutte le sentenze finora emesse hanno ritenuto legittima la riduzione parziale della pensione in contemporanea presenza di reddito da lavoro, fino al momento in cui l’interessato (come la regola Inpgi precisa) raggiunga i 65 anni e ogni decurtazione venga quindi a cessare.

Questa finora la situazione delle cause concluse sull’”argomento cumulo”. Resta per il momento aperto in Cassazione un solo ricorso, che presto sarà definito con la pubblicazione della sentenza della massima Corte, la quale ha affrontato l’argomento nell’udienza tenutasi qualche giorno fa, il 13 dicembre. Posso aggiungere al riguardo che le possibilità di successo per l’Inpgi appaiono consistenti, in quanto lo stesso Pubblico ministero ha concluso la sua arringa sollecitando l’accoglimento delle tesi sostenute dal nostro Istituto.

Ma a questo punto le considerazioni da svolgere non sono soltanto giuridiche. La domanda cui dare una risposta è un’altra e ben più impegnativa. Una domanda che trae origine dalle condizioni del lavoro nel nostro Paese, dalle pesanti difficoltà che incontrano i giovani, dalle speranze che molti di loro coltivano di poter entrare nel mondo del giornalismo, dalle fatiche e dalle delusioni che sopportano per tentare ancora, dopo che un’occasione, che sembrava finalmente concreta, si è trasformata per l’ennesima volta in una delusione.

In questo panorama, di pesantissima difficoltà, come si può affermare in coscienza che l’abolizione della norma Inpgi sul cumulo non creerebbe alcun ulteriore problema al precariato? Come si può sostenere che i giornalisti pensionati svolgerebbero soltanto un’attività professionale limitata ai commenti di livello, definiti “più impegnativi”? Mentre già oggi non è raro persino il caso di giornalisti pensionati che restino inseriti nell’organizzazione del lavoro, assicurando la copertura di servizi nei vari settori. Per un editore di pochi scrupoli questa soluzione è certo vantaggiosa. Ma possiamo davvero ritenere che chi è fuori dalla porta, da tempo in attesa, compensato spesso “in nero”, con l’aggiunta di qualche promessa, non ne riceva un danno? A fronte di questa situazione, che purtroppo a dispetto di ogni sforzo non si risolve, e che fa parte di una realtà che grava come una maledetta nebbia anche sulla nostra professione, ce la sentiamo davvero di continuare ad affermare che il divieto parziale di cumulo pensione-reddito debba essere cancellato? Di sostenere che il limite fissato dall’Inpgi per un reddito di lavoro da cumulare liberamente con la pensione, elevato dal gennaio 2009 a 20.000 euro annui e oggi rivalutato con gli indici Istat a 20.421 euro (1.700 euro al mese di libero cumulo, quindi) sia davvero un sacrificio troppo grande, un furto, per un giornalista pensionato di età inferiore ai 65 anni?

Che fine ha fatto il nostro concetto di solidarietà se ci porta a ritenere che ciò rappresenti una intollerabile ingiustizia, tanto da farci affrontare le spese di una causa contro il nostro Istituto, o di sostenere chi decide di avviarla?

Io mi auguro, lo spero vivamente, che prima del prossimo febbraio, allorché dovremo procedere alle elezioni per eleggere il nuovo Cda dell’Inpgi, i responsabili dell’Ungp nazionale diano un concreto segnale di solidarietà e abbandonino, senza incertezze, questa loro bandiera. In caso contrario ribadisco la speranza che gli elettori orientino la scelta verso quei giornalisti pensionati i quali un segnale di solidarietà lo vorranno dare, con convinzione.

Concludo prevenendo possibili malignità. Per aspirare ad essere eletti si deve presentare una candidatura scritta: io non l’ho fatto, né lo farò.

Gabriele Cescutti